Domenica 21 Febbraio 2016,
tratto da "Il Mattino.it"
di Isaia Sales
"Ricapitoliamo. Le bande di camorra che si stanno combattendo a Napoli a colpi di cadaveri lo fanno per contendersi un mercato, quello della droga, che vale almeno 100 milioni di euro all’anno nella sola area metropolitana. Le armi usate vengono dall’Est Europa, mentre la droga proviene dall’America latina e dall’Africa via Spagna, e sono numerose: in un solo anno sono state sequestrate 1285 armi, 23000 munizioni, dieci chili di esplosivo; e se calcoliamo che in genere i sequestri riguardano il 10% di ciò che effettivamente circola, dobbiamo parlare di più di 10.000 armi pronte all’uso nelle mani di giovanissimi violenti. Nelle guerre del passato, che pure avevano raggiunto un numero di morti ammazzati di gran lunga superiore a quello registrato in questi mesi, la posta in gioco non era così elevata dal punto di vista economico.
Prima le faide erano concentrate in un rione, in un quartiere; oggi invece riguardano diversi quartieri di Napoli e il suo esteso hinterland, segno dello spostamento delle piazze di spaccio da Scampia e Secondigliano verso i comuni a ridosso della città partenopea. In gran parte le aree coinvolte nella guerra sono tutte degradate dal punto di vista urbanistico, economico e sociale: riguardano i rioni costruiti nel dopo terremoto dove ora si sono spostate le zone di spaccio e dove esiste un legame sociale e familiare con parte della popolazione dei quartieri abbandonati nel 1980. Quasi tutti i rioni costruiti con i fondi del terremoto sono zone a fortissima presenza criminale e a intensissima attività illegale. Se nella storia della camorra del secondo dopoguerra esisteva una frattura fisica e organizzativa tra bande di città e bande di provincia, negli ultimi tempi il traffico e lo spaccio della droga hanno fatto di alcuni quartieri di Napoli e di alcuni paesi dell’hinterland un’unica area criminale. Con un giro di affari così esteso, il numero di persone che ruotano attorno alle attività criminali è altrettanto esteso. Il lavoro criminale è svolto dalle unità familiari come un qualsiasi lavoro, dal nonno al nipote, dalla madre ai figli. Si può dunque parlare tranquillamente di camorra-massa non solo in rapporto a chi partecipa alle azioni violente ma anche in rapporto a chi vive dei traffici basati sulla violenza. In questo giro criminale c’è il milionario, il ricchissimo, il benestante e chi vive di un’entrata stabile; nessuno tra chi è all’interno del circuito criminale se la passa male dal punto di vista economico. E nessuno ne è potenzialmente escluso, le barriere di accesso sono molto basse e facilmente superabili. All’interno di questo mondo la circolazione della ricchezza è diffusa: si acquistano capi griffati, si ostentano consumi opulenti, si comprano armi, si pagano killer, si remunerano le vedette e i pali, si fittano locali per il taglio e l’imbustamento della merce, e si pratica un particolare welfare che riguarda le famiglie di coloro che sono in prigione, quelli che non possono più fare lavoro criminale diretto per limiti di età, il pagamento degli avvocati e altre attività “solidali”. Il prezzo di una dose di cocaina si è abbassato a tredici euro e così si consente un consumo anche a chi prima non poteva: i napoletani hanno inventato la droga economica e per tutti, favorendo così un consumo di massa. I grandi guadagni e la grande circolazione di ricchezza, dunque, sono dovuti non solo al commercio internazionale di droga ma alla vendita al consumo.
In altre città d’Europa lo spaccio al minuto è nelle mani di immigrati o di tossicodipendenti, a Napoli e nel suo hinterland invece è nelle mani degli “indigeni”, cioè dei napoletani stessi. La frammentazione della camorra in numerosi clan, a Napoli città, è un dato strutturale, di lungo periodo, quasi congeniale al suo modo di esercitare l’attività criminale. Non c’è solo divisione per quartiere, ma spesso lo stesso quartiere vede più clan contendersi lo spazio e l’influenza, a volte una strada viene divisa a metà tra un clan e l’altro. I confini di quartiere e di rione, in una città sovraffollata come Napoli, sono indefinibili. C’è uno scarto tra dimensione territoriale ristretta e il numero elevato delle persone che delinquono. Questo stato di cose determina una spinta maggiore a pressare i cittadini estranei all’organizzazione per trarne guadagni, oppure a ottenerne il consenso coinvolgendoli nelle attività illegali, oppure a uscire dall’area ristretta del proprio rione creando così conflitti con le altre bande. Insomma la sovrappopolazione criminale incide fortemente sulle strategie delle bande di camorra e determina conflitti permanenti. Inoltre essendo Napoli una città-bazar, dove puoi trovare qualsiasi merce illegale, è molto labile il confine tra attività camorristiche e attività di delinquenza comune, alcuni clan pretendono che i criminali comuni che operano nella stessa zona da essi controllata consegnino loro la parte dei proventi dei furti, delle rapine, degli scippi, e di altre attività di strada, in particolare del settore della contraffazione. Vi è, di conseguenza, un continuo passaggio di malavitosi comuni ai gruppi camorristici, con una fluidità che non prevede barriere di accesso all’elite criminale. Proprio a causa di questa fluidità avviene spesso che appena si liberano posti nella gerarchia delle bande di camorra, i più violenti pensano di trovare quello spazio che in una camorra più organata non avrebbero trovato.
Questo modello lo possiamo definire “camorra-fluida”, modello caratterizzato dal rapido avvicendamento dei capi e dunque continuamente acefalo, che mette in difficoltà le investigazioni per il turn-over frequentissimo nei vertici e per la non stabilizzazione del comando. Ed è paradossale che in una situazione del genere le forze di polizia debbano augurarsi che una gerarchia di comando si consolidi e metta ordine nel caos organizzativo che si è descritto. Se così stanno le cose, cos’è camorra e cosa non lo è? E’ difficile stabilirlo dentro modalità di agire criminale che sembrano un ibrido tra gangsterismo urbano e bande criminali giovanili. Per comodità possiamo definire bande di camorra quelle che subordinano a sé le altre forme di criminalità per la capacità permanente di usare violenza e per la forza economica dovuta al controllo di alcune piazze di spaccio di droga. Sul mercato napoletano si scontrano possibilità di fatica senza grandi guadagni e possibilità di ricchezza senza grandi fatiche. Una parte del sottoproletariato napoletano (e del suo hinterland) prima era egemone nel primo campo, oggi lo è nel secondo. Siamo di fronte a un caso unico in Europa: i sottoproletari si son integrati attraverso la ricchezza che deriva dalle attività criminali senza passare per la scuola, il lavoro, il mestiere. Sono agli ultimi gradini sociali e culturali ma ai primi per ricchezza e benessere. E’ in questo obiettivo di integrazione riuscito solo per via criminale che consiste l’insuccesso della nazione verso Napoli e di Napoli verso la nazione".
domenica 21 febbraio 2016
domenica 14 febbraio 2016
L'oceano Pacifico è morto
martedì 9 febbraio 2016
Ma siamo sicuri che non ci sia anche qualche problema nel movimento ambientalista italiano?
Il sindaco Pescatore. Il film sulla storia di Angelo
Vassallo. Con tutti i limiti che può avere un film che affronta una storia così
importante, vederlo è stato molto emozionante ed esemplificativo.
Il bravo Castellitto ha fatto conoscere a milioni di persone
una storia che fino ad ora, sia chiaro, aveva avuto un risalto mediatico di
“nicchia”. Finalmente useremo la figura di Angelo Vassallo come termine di
paragone per una buona politica, per una buona amministrazione locale. Chi non
vorrebbe un sindaco come lui, che partendo dalla “semplicità” possa cambiare le
nostre città, scardinando equilibri ed abitudini radicate? Non venite a dirlo a
me, figlio di una città, Gragnano, che da più di 15anni non riesce ad avere
un’amministrazione che completi il mandato (e magari fosse solo questo il
problema).
Ma il film di ieri sera mi ha dato spunto per un’altra
riflessione: quella sull’ambientalismo nostrano.
E’ vero, la maggior parte dei nostri problemi deriva troppo
spesso dalla mala-politica e dalla mala-amministrazione. Ma siamo sicuri che
non ci sia anche qualche problema nel movimento ambientalista italiano?
Ad un ambientalismo campale, di azioni drastiche, magari con scioperi della fame e
manifestazioni, stiamo preferendo un ambientalismo da web. Per fare un esempio,
in questi mesi abbiamo assistito allo scioglimento del Corpo Forestale senza
avere la forza di organizzare una manifestazione di massa che bloccasse il
paese. Eppure tutti noi “ambientalisti” conosciamo il ruolo fondamentale ed
imprescindibile che negli ultimi anni la Forestale ha avuto nel contrasto
all’inquinamento, al bracconaggio e alle ecomafie. Negli ultimi mesi abbiamo imbastito una difesa contro le trivelle nei nostri mari, e abbiamo vinto qualche scaramuccia ma la battaglia finale ancora si deve giocare.
Ci sono alcune cose poi che
non mi quadrano: vedo associazioni di “guardie ambientali” che spuntano come
funghi, con auto, jeep e attrezzatura varia, ma che poi non usano mai se non per
presentarsi ai convegni (E non intervengono nemmeno se una specie rara ferita
gli si presenta sotto la sede). Dobbiamo evitare di andare verso un
ambientalismo fine a se stesso che non ha la forza di muovere le masse e
coinvolgere veramente le persone. I passi avanti sono stati tanti in questi
ultimi anni, ed in generale c’è maggiore sensibilità; ma troppo spesso, alle
dichiarazioni di intento non sono seguiti i fatti. Basta leggere qualsiasi
carta internazionale, dalla dichiarazione di Stoccolma in poi, per vedere che
sono praticamente inefficaci ed inapplicate. In giro sono ancora troppo poche
le persone che si battono concretamente per le questioni ambientali, dedicando
per esse tempo ed energie.
Ancora troppo poche le forze dell’ordine ed i
magistrati preparati su tali tematiche. In Parlamento le istanze ecologiche
sono parzialmente rappresentate:
paghiamo ancora il dazio del fallimento
totale delle liste “verdi” degli anni ’90. Così come paghiamo le
incoerenze di chi, politicamente, si spaccia per “ecologista” e poi è il primo,
per esempio, a gettare le cicche di sigaretta ovunque. Dal punto di vista
giuridico, dopo vari tentativi di unificare la legislazione ambientale, stiamo
di nuovo cadendo nella trappola della
diversificazione delle discipline. Se non cambiamo passo, noi “attivisti
convinti” e cominciamo a coinvolgere quante più persone possibile, facendo da
battistrada per un cambiamento epocale, non andremo da nessuna parte. Se
vogliamo ottenere veri cambiamenti solo con le petizioni on line, con i convegni
o con le iniziative di pulizia non andremo da nessuna parte.
Dobbiamo cominciare a rischiare e a giocarci il tutto
per tutto, a costo di essere totalmente controcorrente. Dobbiamo alzare il
livello di “scontro”. Ogni generazione ha le sue guerre, e sperando che in
futuro non ce ne siano di altre ancora più gravose, quella della mia
generazione è proprio questa a tutela dell’ecosistema. A costo di mettere in
secondo piano la nostra vita privata, dovremmo tutti impegnarci per cambiare
questa situazione perché altrimenti lasceremo ai nostri figli un pianeta
peggiore di quello che abbiamo ereditato.
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