Il sindaco Pescatore. Il film sulla storia di Angelo
Vassallo. Con tutti i limiti che può avere un film che affronta una storia così
importante, vederlo è stato molto emozionante ed esemplificativo.
Il bravo Castellitto ha fatto conoscere a milioni di persone
una storia che fino ad ora, sia chiaro, aveva avuto un risalto mediatico di
“nicchia”. Finalmente useremo la figura di Angelo Vassallo come termine di
paragone per una buona politica, per una buona amministrazione locale. Chi non
vorrebbe un sindaco come lui, che partendo dalla “semplicità” possa cambiare le
nostre città, scardinando equilibri ed abitudini radicate? Non venite a dirlo a
me, figlio di una città, Gragnano, che da più di 15anni non riesce ad avere
un’amministrazione che completi il mandato (e magari fosse solo questo il
problema).
Ma il film di ieri sera mi ha dato spunto per un’altra
riflessione: quella sull’ambientalismo nostrano.
E’ vero, la maggior parte dei nostri problemi deriva troppo
spesso dalla mala-politica e dalla mala-amministrazione. Ma siamo sicuri che
non ci sia anche qualche problema nel movimento ambientalista italiano?
Ad un ambientalismo campale, di azioni drastiche, magari con scioperi della fame e
manifestazioni, stiamo preferendo un ambientalismo da web. Per fare un esempio,
in questi mesi abbiamo assistito allo scioglimento del Corpo Forestale senza
avere la forza di organizzare una manifestazione di massa che bloccasse il
paese. Eppure tutti noi “ambientalisti” conosciamo il ruolo fondamentale ed
imprescindibile che negli ultimi anni la Forestale ha avuto nel contrasto
all’inquinamento, al bracconaggio e alle ecomafie. Negli ultimi mesi abbiamo imbastito una difesa contro le trivelle nei nostri mari, e abbiamo vinto qualche scaramuccia ma la battaglia finale ancora si deve giocare.
Ci sono alcune cose poi che
non mi quadrano: vedo associazioni di “guardie ambientali” che spuntano come
funghi, con auto, jeep e attrezzatura varia, ma che poi non usano mai se non per
presentarsi ai convegni (E non intervengono nemmeno se una specie rara ferita
gli si presenta sotto la sede). Dobbiamo evitare di andare verso un
ambientalismo fine a se stesso che non ha la forza di muovere le masse e
coinvolgere veramente le persone. I passi avanti sono stati tanti in questi
ultimi anni, ed in generale c’è maggiore sensibilità; ma troppo spesso, alle
dichiarazioni di intento non sono seguiti i fatti. Basta leggere qualsiasi
carta internazionale, dalla dichiarazione di Stoccolma in poi, per vedere che
sono praticamente inefficaci ed inapplicate. In giro sono ancora troppo poche
le persone che si battono concretamente per le questioni ambientali, dedicando
per esse tempo ed energie.
Ancora troppo poche le forze dell’ordine ed i
magistrati preparati su tali tematiche. In Parlamento le istanze ecologiche
sono parzialmente rappresentate:
paghiamo ancora il dazio del fallimento
totale delle liste “verdi” degli anni ’90. Così come paghiamo le
incoerenze di chi, politicamente, si spaccia per “ecologista” e poi è il primo,
per esempio, a gettare le cicche di sigaretta ovunque. Dal punto di vista
giuridico, dopo vari tentativi di unificare la legislazione ambientale, stiamo
di nuovo cadendo nella trappola della
diversificazione delle discipline. Se non cambiamo passo, noi “attivisti
convinti” e cominciamo a coinvolgere quante più persone possibile, facendo da
battistrada per un cambiamento epocale, non andremo da nessuna parte. Se
vogliamo ottenere veri cambiamenti solo con le petizioni on line, con i convegni
o con le iniziative di pulizia non andremo da nessuna parte.
Dobbiamo cominciare a rischiare e a giocarci il tutto
per tutto, a costo di essere totalmente controcorrente. Dobbiamo alzare il
livello di “scontro”. Ogni generazione ha le sue guerre, e sperando che in
futuro non ce ne siano di altre ancora più gravose, quella della mia
generazione è proprio questa a tutela dell’ecosistema. A costo di mettere in
secondo piano la nostra vita privata, dovremmo tutti impegnarci per cambiare
questa situazione perché altrimenti lasceremo ai nostri figli un pianeta
peggiore di quello che abbiamo ereditato.
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